Le comunità  virtuali di consumatori: tipologie e applicazioni

Le comunità  virtuali sono gruppi di individui che si aggregano spontaneamente intorno ad interessi condivisi e che mantengono una stabile interazione.
Sono diverse le comunità  virtuali rintracciabili:

comunità -virtuali

Le comunità  di consumatori sono volte a soddisfare esigenze di interazione e di condivisione di esperienze attraverso lo scambio di informazioni, comunicazione ed entertainment.
Tali ambienti digitali consentono di ampliare notevolmente la conoscenza e la disponibilità  di informazioni di un’azienda, riuscendo a carpire anche consapevolezze tacite e periferiche proprio grazie all’interazione sociale dei membri.

periferiche interazione

Le comunità  virtuali di consumatori consentono di facilitare l’aggregazione della domanda su scala globale, di effettuare analisi di mercato agevolando l’apprendimento in merito allo sviluppo di nuovi prodotti o al miglioramento di quelli già  esistenti, di codefinire i valori associati al brand aziendale, di aumentare i flussi di comunicazione (viral e WOM marketing) e di incrementare il senso di appartenenza creando barriere all’uscita (brand loyalty).
Le comunità  di consumatori possono risultare: comunità  di transazione (ad esempio E-bay, sono volte ad aggregare la domanda e perseguono una dimensione eminentemente informativa); comunità  di interesse (aggregazione intorno ad interessi condivisi e definizione delle esigenze di uno specifico mercato); comunità  di relazione (scambio di esperienze personali e creazione di legami tra i partecipanti, riducendo il rischio percepito e incrementando il senso di appartenenza al brand); comunità  di fantasia (ambienti virtuali e trama di fondo per superare le barriere alla verbalizzazione attraverso l’immedesimazione in un personaggio di fantasia).
A seconda delle specifiche esigenze e della domanda di ricerca, può essere opportuno monitorare in modo specifico determinate comunità . Nel caso in cui l’argomento costituisca un tabù o afferisca la sfera personale dell’individuo, discuterne in una comunità  di fantasia potrebbe essere la scelta ottimale per superare ogni remora. Oppure, nel caso si intenda specializzarsi su un target specifico e accomunato da una passione o da un interesse forte, occorre monitorare le comunità  di interesse per comprendere al meglio i benefici ricercati da questo target. Qualora invece si venda un’esperienza o un viaggio, le comunità  di relazione permettono una socializzazione preliminare tra i membri, facilitando l’emergere di sensazioni positive associate alla fase post-eventum.
Infine, nel momento in cui si intenda piazzare una determinata partita di prodotti o commercializzare riserve in esubero, allora le comunità  di transazione permettono di ampliare notevolmente il mercato a cui ci si riferisce, superando barriere spazio-temporali.
Tuttavia, per sfruttare al meglio le informazioni che possono essere tratte dall’analisi di tali comunità , occorre anzitutto comprendere il paralinguaggio elettronico che talvolta viene sviluppato in tali ambienti. Dal momento che spesso si tratta di un lessico dal presidio idiosincratico, può risultare estremamente vantaggioso che l’osservatore appartenga al target in analisi. L’oggetto dell’indagine, tuttavia, non dovrà  concentrarsi soltanto sui contenuti, ma anche sulle modalità  di interazione sviluppate, servendosi eventualmente di un software di analisi lessicale per favorire la mappatura delle keyword più diffuse. In questo modo sarà  possibile anche assumere maggiore consapevolezza per l’eventuale sviluppo di campagne di SEM mirate.

campagne-sem
Comunità  virtuali: l’emergere della parte sommersa dell’iceberg.

Le proprietà  tecnologiche della rete e le implicazioni gestionali

Le leggi chiave delle Information and Communication Technologies riguardano le seguenti proprietà :

proprietà 

La legge di Moore, 1975, asserisce, in merito alla produttività  che ogni 18 mesi è possibile raddoppiare il numero di transistor contenuti all’interno di un chip a parità  di costo. Questo implica che le tecnologi digitali seguono una crescita di tipo esponenziale, basata sull’incremento della potenza e della capacità  informativa dei pc. L’unico limite di questa legge è dovuto alla miniaturizzazione delle componenti che hanno impedito un ulteriore sviluppo in tale direzione. Ad ogni modo questa proprietà  della rete ci permette ci comprendere come ogni elemento sia in continua evoluzione e come diventi necessario riuscire a risultare tecnologicamente al passo coi tempi in modo tale da non creare dei gap rispetto alla propria utenza. Comprendere le nuove potenzialità  e i nuovi sviluppi diventa cruciale non soltanto per le imprese che hanno come core business il mondo high tech; bensì per tutte le azienda che si appoggiano alla tecnologia per attività  di marketing, comunicazione e distribuzione.

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In merito all’esternalità , è possibile citare la legge di Metcalfe, 1996, secondo la quale l’utilità  di una tecnologia per un singolo utente è pari al quadrato del numero di utenti complessivi che la utilizzano. Pertanto, è necessario raggiungere una massa critica, ovvero una soglia oltre la quale diventa una disutilità  essere sprovvisti di quella data tecnologia. Per questo può risultare utile sviluppare economie di scala dal lato della domanda al fine di ridurre il costo unitario di accesso all’aumentare della diffusione dello strumento; oppure definire clausole di lock in volte a generare costi oggettivi e cognitivi per passare ad un nuovo strumento.
Questo ci permette di comprendere che il valore generato da una tecnologia, da un sito o da un social è direttamente connesso al numero di utenti che lo utilizzano: le ICT hanno una finalità  di comunicazione e interazione e, pertanto, se pochi utenti dispongono di quello strumento, il potere di condivisione sarà  estremamente ridotto. L’obiettivo di ogni sito o pagina social è quello di raggruppare il maggior numero di persone possibile al fine di incrementare l’utilità  che lo strumento assume per ogni utente.
Infine, in termini di flessibilità , la legge di Evans e Wurster, 1999, permette di comprendere come le tecnologie digitali abbiano permesso di superare il trade-off tra reach e richness: non bisogna più necessariamente scegliere tra ampiezza dell’audience o personalizzazione del messaggio, poichè tramite il web è possibile veicolari messaggi ad un ampio pubblico senza trascurare la specificità  del target.
Questo aspetto permette di ampliare notevolmente le possibilità  di marketing ampliando l’efficienza e l’efficacia delle campagne attivate.
In tale contesto si assiste allo sdoppiamento della catena del valore dei beni fisici da quella delle informazioni. In tal modo la stessa distribuzione della logistica non è più necessariamente associata a quella delle informazioni e, così, si assiste allo sviluppo dell’infomediazione, l’intermediazione informativa. Nascono anche nuovi attori, gli infomediari, che si occupano della raccolta, gestione e comunicazione delle informazioni. In questo modo gli utenti potranno disporre di un numero crescente di informazioni relative al prodotto che sono veicolate separatamente rispetto al prodotto stesso. In altri termini, mentre antecedentemente le uniche informazioni sui prodotti erano messe a disposizione dai distributori stessi che decidevano cosa gli acquirenti potessero effettivamente conoscere, ad oggi, accanto alle informazioni ufficiali messe a disposizione dai distributori, è possibile rivolgersi a un’ampia gamma di risorse che viaggiano su canali paralleli.
Per questo diventa molto importante monitorare i diversi canali al fine di scandagliare le diverse informazioni che circolano in merito al proprio sistema di offerta.
In tale ambiente si diffondo anche diversi multi-sided markets, vale a dire dei mercati a più facce aventi l’obiettivo di avvicinare popolazioni di utenti reciprocamente interessate. Questi modelli di business sono di particolare successo soprattutto nel momento in cui il mercato è molto frammentato: in tal modo agiscono al fine di colmare quei buchi strutturali che impediscono alla domanda e all’offerta di stabilire un contatto.
La rete permette dunque di ampliare le possibilità  di business grazie alla facilità  e alla velocità  della comunicazione che permette in modo più agevole di rintracciare persone interessate alla propria offerta.

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L’infomediazione: il canale autonomo per la distribuzione delle informazioni.

Internet boom: impatti sull’azienda e sulle strategie di business

Dalla fine degli anni ’90 si è assistito ad un autentico boom del mondo web, anche grazie alla stampa entusiasta, allo sviluppo di progetti di e-business anche in ambito accademico, all’incentivo dei consumatori e al mondo finanziario favorevole.
Sebbene vi sia stato un momento di bust nei primi anni del 2000 a causa della bolla speculativa legata alla rete e alle tecnologie digitali, Internet oggi è nuovamente oggetto di una rapida crescita: si pensi che, secondo il Wall Street Journal, tra le prime società  quotate nel 2010 compaiono perlopiù brand connessi al mondo high tech.
Ad oggi nel mondo vi sono oltre 2 miliardi di utenti, il 26% dell’intera umanità ; ¾ dei quali situati nel mondo occidentale. Questo significa che, a partire dagli anni 2000, si è assistito ad una crescita del 400% nell’utilizzo di Internet!
In Italia 32,9 milioni hanno una connessione ad Internet, 24,7 sono attivi mensilmente e 12,2 milioni sono online ogni giorno. Inoltre, sono in costante crescita gli accessi mobile: 5,3 milioni di utenti, l’11% della popolazione, accedono da device mobili.

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Questo consente, da un lato, di essere always on, rimanendo costantemente aggiornati e potendo accedere in ogni momento della giornata e, dall’altro, di poter sfruttare le georeferenziazioni per finalità  di CRM.
Diventa così possibile incrementare la selettività  del messaggio e la coerenza dello stesso rispetto al cliente. Non ci si limita più ad inviare il messaggio giusto al cliente giusto, bensì, tramite la geolocalizzazione, di possono considerare anche il posto giusto ed il momento giusto.
Il web, tuttavia, ha avuto notevoli impatti sul mondo del lavoro, a partire, ad esempio, dalla nascita del professional social network: in questi ambienti il valore è creato dagli utenti stessi e diventa legato alla digital reputation, si basa sulla raccomandazione e sugli endorsements di altri individui.
Anche la stessa organizzazione del lavoro ha subito profondi mutamenti: dalla condivisione Intranet della conoscenza e del know how anche implicito al lavoro in remoto; dalla comunicazione in tempo reale alla collaborazione interfunzionale su scala globale. Inoltre, la struttura organizzativa non è più basata sul tipico organigramma: la tecnologia taglia trasversalmente i livelli gerarchici creando un ampio reticolato.
I dipendenti talvolta sono anche identificati sulla base della loro attività  online (wikis, blogs, bookmarks) e, dal momento che l’immagine del dipendente è strettamente connessa a quella dell’organizzazione, molte aziende diffondono le social computing guidelines, volte a moderare il comportamento dei collaboratori online.
In merito alle strategie di business, il cambiamento si articola essenzialmente attraverso due macrovariabili: il tempo e lo spazio. Il tempo scopre una maggiore rapidità  nella propagazione delle innovazioni incrementali e radicali e lo spazio è denotato da una maggiore modularità  e si apre a configurazioni di business innovative. Con il fenomeno della socializzazione e specializzazione nasce il crowd sourcing: si sviluppano internamente alcune funzioni nelle quali si è esperti, esternalizzando le altre ad una molteplicità  di soggetti esterni specializzati. In questo modo si incrementano i gradi di libertà  nella configurazione di business già  esistenti (nuove modalità  di vendita, acquisto, outsourcing e connessione) e di business innovativi (aggregazione della domanda, nuovi intermediari, configurazione del prodotto da parte del consumatore.
Da seller centric, l’azienda diventa customer centric, prediligendo le conoscenze e le competenze alle risorse fisiche. La sperimentazione e l’apprendimento prendono il posto dei precedenti processi di pianificazione e controllo, abbandonando la strategia firm focused e prediligendone una network focused.

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Internet boom: una rivoluzione nel mondo del business.

 

Come creare un sito web: funzionalità  e creatività 

Uno degli interrogativi maggiori è come creare un sito web.
Partiamo da quelle che sono le 3 componenti chiave di un sito web 2.0 sono: Content, Commerce e Community. Tuttavia, per riuscire a delineare un’integrazione interna tra le tre dimensioni è anzitutto necessario comprendere quali sono i diversi elementi associati a ciascuna. Per lo sviluppo della dimensione Content, strettamente connessa a competenze di natura editoriale, occorre tenere in considerazione le seguenti variabili: l’ampiezza e la profondità  dei contenuti proposti, la frequenza di aggiornamento, la coerenza, la grafica e la personalizzazione. Per la definizione della dimensione Commerce, associata a competenze logistiche e di marketing, occorre offrire un processo di acquisto articolato nel minor numero di click possibile, arricchito da diverse modalità  di pagamento, caratterizzato da rapidi tempi di consegna, velocità  di caricamento, semplice gestione del reso e tutela della privacy e dei dati sensibili immessi.

 

Infine, per la dimensione Community, legata a competenze di enterteinment, è fondamentale essere presenti all’interno dei social, aumentare il proprio numero di fan e follower, incrementare i like, i tweet ed i post, stimolare l’interazione, il coinvolgimento e la partecipazione attiva degli utenti attraverso user generated contents.

In estrema sintesi:

come creare un sito web

La rilevanza di tali dimensioni è ravvisabile anche attraverso l’analisi del processo di acquisto del consumatore, articolato in 6 fasi:

l’identificazione del bisogno,
la ricerca di informazioni,
la valutazione delle alternative,
l’acquisto e la negoziazione,
la transazione,
la valutazione post acquisto.
In merito alla prima fase, l’identificazione del bisogno, è necessario che il proprio sito sia in grado di memorizzare gli interessi di ogni utilizzatore e notificare ai clienti quando diventa disponibile un nuovo prodotto corrispondente al loro profilo (match-making); inoltre può risultare utile offrire consulenze professionali virtuali che aiutino la razionalizzazione del bisogno del consumatore (partnership con esperti).

Per quanto concerne la fase di ricerca di informazioni, è fondamentale essere facilmente rintracciabili sui motori di ricerca, sui portali verticali e sulle hub, inoltre è altrettanto necessario dotare il proprio sito di motori di ricerca interni e di agenti di raccomandazione in grado di analizzare i dati aggregati, far emergere pattern comuni e fare inferenze sui comportamenti futuri dei consumatori. In relazione alla fase di comparazione delle alternative, diventa imprescindibile adottare tecnologie 3D e virtual try on per tipologie di prodotto look and feel, creare comunità  virtuali e condividere le recensioni per ridurre il rischio percepito, favorire l’esperienza di navigazione attraverso stimoli al protrarsi dell’interazione, picchi di interattività , tassi di cambiamento e aree social. Per quanto riguarda invece la fase di acquisto e negoziazione, è opportuno servirsi di agenti di negoziazione capaci di definire un pricing dinamico a seconda dello status del cliente o delle condizioni di magazzino.

In relazione alla fase di transazione è necessario dotarsi di agenti che facilitino il processo di pagamento, privacy notice, promuovere l’utilizzo di digital cash e paypal in concomitanza con le forme più tradizionali quali il contrassegno, riprodurre procedure simili all’offline (pick up stores, carrello) al fine di ridurre la percezione dell’utente di perdita di controllo sull’ambiente.

Infine, in merito alla fase post acquisto, occorre favorire l’interattività , integrare database su clienti online e offline, gestire profili personali e praticare CRM e survey anche in merito alla customer satisfaction.

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Esperienzialità  e user-friendliness : il superamento di un trade-off.